Quadrifonia

Quadrifonia

10,00

Quadrifonia

A cura di Angelo Crespi, Andrea Daffra

Formato 15,5x22,5
Pagine 58 (colore)
ISBN 978-88-3124-472-5

Non è mai semplice, quando si tratta di una mostra collettiva, individuare il filo che unisce gli artisti scelti, specie se si tratta di artisti di generazioni diverse e che utilizzano materiali diversi. Questa difficoltà può però essere la forza di una commistione di sensibilità e approcci, specie se il contesto espositivo è il fatto determinante, il motore primo dell’esposizione. E nel caso specifico, gli spazi industriali delle ex Officine Olivetti, una sorta di cattedrale dell’impresa italiana, del genio dell’impresa italiana, imponevano di essere all’altezza soprattutto nel senso della poliedricità, o della “polimeccanicità”, avrebbe detto Omero, delle opere che dovevano per forza echeggiare, pur lontane, il clima di innovazione introdotto da Adriano Olivetti.Con questa precauzione, insieme ad Andrea Daffra, abbiamo deciso di chiamare quattro artisti che sperimentano le quattro componenti base del fare arte e cioè forma, segno, materia, colore che è rimasto il sottotesto rispetto al titolo Quadrifonia, essendo la quadrifonia una tecnica di registrazione del suono che prevede quattro flussi sonori destinati a essere riprodotti ognuno da un diverso diffusore acustico. Ci è piaciuta, non solo l’idea di un suono composto da quattro suoni che proprio per questo assume, nella complessità, una purezza e una fedeltà assolute, e una unicità nuova, ma anche l’assonanza con “quadrofonia” che sarebbe stato un neologismo degno di Olivetti, una musica cioè proveniente dai quadri, nel miglior intento soprattutto dell’astrazione storica di inizio Novecento e delle idee di Henri Bergson, cioè di un’arte capace di mediare – come la musica – sentimenti, senza utilizzare figure. Così siamo partiti da Enzo Cacciola, membro storico della Pittura Analitica, di cui tra poco cadranno i cinquanta anni, che si è sempre mosso sul crinale tra segno e materia, cercando la via di un’arte concettuale che però non rinunciasse al dato pittorico né paradossalmente a quello materico, pur nella rarefazione del colore. In opposizione tensiva, una grande installazione di forte impatto visivo, sintetizza invece il lavoro di Marica Fasoli che abita quel territorio complesso tra astrazione e iperrealismo, venendo a definire un campo di azione nuovo in cui la materia si assoggetta al segno e il segno al colore; resta perfino il dato concettuale poiché l’artista principia il suo lavoro dalla costruzione di origami che poi vengono smontati e di cui rimane solo la piega. Federico Ferrarini, al contrario, che da anni lavora sulla pietra, innesta sul dato propriamente materico una componente di forte spiritualità che gli consente una fuoriuscita dal minimalismo e un’apertura verso il simbolismo, anch’egli con una istallazione che dialoga perfettamente con lo spazio Olivetti, piovendo dalle arcate come una cascata, la materia dura assume un carattere quasi aereo. Infine Alfredo Rapetti Mogol, in stretto confronto con Cacciola, si concentra sul segno che diventa testo, o per essere ancora più precisi sul testo che ritorna a essere segno: il pretesto assorbe il contesto e dunque il testo in una dimensione tra minimalismo e arte concettuale, ma intrisa di forte lirismo. Indimenticabile se il ami ac ur a, che esemplifica alla perfezione la questione su cui riflette da sempre l’artista milanese fin dagli esordi delle prime tele monocrome intessute di una scrittura segnica ma priva di riferimenti comprensibili, in questo caso però lo sforzo visivo e cognitivo dello spettatore è in grado di ricostruire il senso della frase che si appalesa miracolosamente e in questo sta la bellezza di un’opera che oserei dire “cinetica”.

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