Un biglietto per piano orizzontale dei Giovi

Dopo il successo ottenuto con il rapido esaurimento del primo Quaderno pubblicato nel 2019 e dedicato alla stazione di Piano Orizzontale, abbiamo pensato ad un’edizione riveduta, con l’aggiunta di uno speciale inserto contenente immagini di vari autori che negli ultimi decenni hanno ripreso i più differenti rotabili in servizio lungo la storica linea dei Giovi. Abbiamo selezionato immagini significative che sono riportate nell’ordine geografico da Genova ad Arquata Scrivia, valorizzandone il punto di ripresa. Tra le fotografie pubblicate in questa appendice troviamo alcune inquadrature d’effetto di Piano Orizzontale dei Giovi, opere d’arte come il lungo rilevato in muratura ad archi a Isola del Cantone, il ponte a torre di Prarolo, ed altri punti che di sicuro incuriosiranno il lettore. La Valle Scrivia è ricca di vie di comunicazione e, oltre alla strada nazionale ed all’autostrada, vanta di avere ben due ferrovie importanti che collegano Genova al nord Italia, attraverso il valico dei Giovi. La Genova-Torino (via Busalla-Isola del Cantone), aperta al pubblico nel 1853 e che presenta la particolare caratteristica di avere una pendenza pari al 35 per mille, la massima ammessa per le linee ferroviarie italiane ad aderenza naturale. E la linea “Succursale” (via Mignanego), realizzata qualche decennio più tardi nel 1889, proprio con lo scopo di affiancare e supportare la linea “storica”, ma con la caratteristica di avere un tracciato più lineare, mantenendo una pendenza costante ed assai inferiore pari al 16 per mille, garantendo migliori prestazioni, soprattutto nell’aumento della velocità e nella conseguente diminuzione dei tempi di percorrenza. L’uscita di una edizione riveduta di questo Quaderno rende quindi onore ad una delle più anziane e belle linee ferroviarie dell’Italia che oggi compie 170 anni. La storia di Piano Orizzontale e le motivazioni che hanno voluto la realizzazione di questa stazione, posta a circa metà della salita della linea “storica” di valico, sono raccontati attraverso documenti, illustrazioni, planimetrie, disegni del materiale rotabile primordiale (i mitici “Mastodonti dei Giovi”), citazioni di personaggi illustri, storie di vita vissuta in ferrovia, cronache dell’epoca della sciagura ferroviaria dell’11 Agosto 1898. Un augurio quindi che anche questa edizione riveduta abbia il successo che merita ed un incentivo all’Associazione Mastodonte dei Giovi affinchè curi una lunga serie di Quaderni che trattano due delle linee ferroviarie di valico di notevole interesse storico e dalle caratteristiche tecniche uniche nel loro genere




Enea Silvio Recagno, trasvolatore atlantico di Cogoleto

Parlare di Enea Silvio Recagno oggi significa ricordare un personaggio di Cogoleto del quale, probabilmente, si conosce piuttosto poco sia perchè morì quasi novant’anni fa (1936), sia perchè la sua esistenza fu breve essendo nato nel 1900. Considerando i dati anagrafici si può sostenere che ebbe la fortuna di evitare la partecipazione ai due conflitti mondiali del XX secolo. Uomo dal carattere abbastanza riservato tipico della gente di Liguria e amante del mare, studiò dapprima all’Istituto Nautico, quindi all’Accademia navale. Quando entrò nella neonata Aviazione italiana (costituita nel 1923) in qualità di esperto pilota di idrovolanti, partecipò a viaggi esplorativi e ad alcune tra le principali crociere aeree italiane di massa effettuate tra la fine del secondo e l’inizio del terzo decennio del Novecento. Il regime fascista le enfatizzò, cercando di trarne la massima notorietà per avvalorare la propria immagine. Il libro non ripercorre nel dettaglio il loro svolgimento; la narrazione si sofferma, invece, soprattutto su aspetti che più da vicino riguardano Enea Silvio. L’ampia documentazione fotografica che correda il testo, unitamente alle immagini a colori, disegni e manifesti dell’epoca, dà un’idea di come in quegli anni si volle dare risalto alle trasvolate di massa, oltre che alle traversate in nave, e di come illustratori e disegnatori li rappresentarono. Questi ultimi documentarono anche il periodo coloniale italiano libico e dell’Africa Orientale. Per la sua temerarietà Recagno sperimentò, tra i primi collaudatori e più volte, sia i lanci di idrovolante da nave con il “sistema a catapulta”, sia gli aviolanci con il paracadute “Salvator”. La sua vita fu legata al mare come quella del fratello più anziano Alessandro (che divenne comandante della Marina Mercantile), ed all’aria, come quella del fratello più giovane Diego (divenuto generale di Brigata Aerea).  Il rapporto con Cogoleto fu più continuativo durante i primi anni fino al completamento della Scuola elementare e dell’Istituto superiore. Poi, per necessità, dovette staccarsi dal paese natale ed anche un po’ dai famigliari. Quando tuttavia riusciva ad avere qualche momento libero o periodi di congedo, ritornava presto a trovare la mamma (rimasta vedova quando Enea Silvio era quindicenne), le sorelle ed il fratello più giovane, e ad incontrare conoscenti e amici. Tra questi, oltre a cogoletesi con i quali aveva trascorso l’infanzia, vi erano anche alcuni aviatori liguri con cui aveva condiviso esperienze formative e avventure aeree transatlantiche. Fu Italo Balbo, allora ministro dell’Aeronautica, che lo chiamò ad entrare nella Scuola di Alto Mare di Orbetello come comandante dell’idrovolante I-RECA (I stava per Italia e RECA era l’abbreviazione del cognome del primo pilota). Al pari di alcuni altri validi aviatori scelse poi di seguire Balbo in Libia, dopo la nomina di questi a Governatore generale. Proprio durante un incidente al decollo da Genova per rientrare in Libia si concluse la vita di Enea Silvio.

Auguro che i testi e le illustrazioni che completano il libro, possano contribuire a mettere maggiormente in luce e a far apprezzare questo intrepido aviatore cogoletese.

TULLIO PAGLIANA Nato a Ormea (CN) in Alta Val Tanaro, risiede a Cogoleto (GE). Ha scritto diversi libri legati alla storia dell’Alta val Tanaro. La sua precedente pubblicazione di argomento aeronautico si intitola: “Stefano Cagna, un aviatore al fianco di Italo Balbo”, edizione a cura del Comune di Ormea, 2002. Ha scritto inoltre il volume: “Gli ospedali del Ponente genovese. Voltri, Cogoleto, Arenzano, Pegli-Pra’, Campoligure, Rossiglione. Storia, personaggi, immagini”, stampato nel 2010 a cura della Asl3 Genovese.




Svelati i segreti di Cristoforo Colombo

Il mare, il viaggio, il fascino dell’avventura e la storia di un uomo che ha voluto sfidare soprattutto se stesso con il coraggio di affrontare l’ignoto, per appagare la curiosità e la sete di conoscenza, che spesso portano

alle grandi scoperte della storia e spingono alle sfide più estreme, sono alla base di questo studio. Il mare rappresenta, per gli abitanti della costa, sia fonte di sostentamento e via di comunicazione sia motivo di preoccupazione e tristezza per le possibili avversità. In ragione di ciò, gli abitanti di Cogoleto si rapportano ad esso con devozione e rispetto, ne temono la forza ma ne ammirano la bellezza. Chi abita la nostra terra conosce bene il sapore e l’odore del mare immutati nello scorrere dei secoli. Sono le stesse emozioni che hanno segnato la vita del Grande Navigatore, la cui immagine ritorna spesso nella nostra storia, unitamente a quella di Bernardo Colombo, cogoletese, aspirante alla successione nei beni dell’Ammiraglio, all’estinguersi della linea ereditaria diretta. Il Comune di Cogoleto, ormai da tempo, porta avanti iniziative volte rivalutare la figura di quest’ultimo e le tradizioni colombiane locali. In quest’ambito l’acquisizione di una cospicua mole di documenti archivistici, nella quasi totalità inediti, ha consentito, non solo di dimostrare la liceità delle rivendicazioni di Bernardo Colombo e l’onestà del personaggio, da subito accusato di falso e bistrattato, nel corso dei secoli, da più di un autore, ma anche di riconsiderare molti aspetti della vita dello Scopritore. Lo studio che ne è scaturito, accurato e puntuale, frutto di un impegno lungo e faticoso degli Autori, ha consentito di raggiungere entrambi gli obiettivi, portando anche nuova luce sulle vicende personali dello Scopritore, sulle parentele e sul luogo natio, che documenti ufficiali italiani e spagnoli, indicano in Cogoleto. L’Amministrazione Comunale di Cogoleto auspica pertanto che quest’opera, in cui si sono utilizzati al meglio fonti documentarie e contributi di studiosi di ogni tempo e paese, consenta un sereno confronto di opinioni ed un nuovo impulso alla ricerca. Tutto questo per rendere omaggio alla figura di un grande Cogoletese.




Scarsa lingua di terra che orla il mare
Il mondo di Camillo Sbarbaro

A Santa Margherita Ligure Camillo Sbarbaro ha vissuto ben poco: dal 12 gennaio 1888, giorno della sua nascita, all’inizio del 1894, quando, rimasto orfano di madre nel precedente ottobre, si trasferisce con il padre e la sorellina, nel paese collinare di Voze, vicino a Spotorno. Ma è noto che le esperienze vissute nell’età infantile spesso segnano per tutta la vita e così è stato per Sbarbaro che, con il padre e la sorellina, sin da piccolo era stato abituato a camminare su per le prime pendici del monte di Portofino per conoscere il mondo della natura; gli odori e i colori, ma non solo dei fiori e delle piante più belle, ma anche degli insetti, delle erbette e dei muschi, attività che poi svilupperà nelle pause della sua vita militare: “Mi son dato a corpo perso alla botanica: scruto ogni indizio di verde che la neve lascia allo scoperto” scriverà il 9 gennaio 1919 all’amico Angelo Barile. Era dunque nata in lui bambino, in compagnia del padre e della sorella compagna delle sue escursioni (si veda la poesia La bambina che va sotto gli alberi) una stretta simbiosi con il mondo naturale che resterà per sempre nella sua vita e nelle sue pagine, come anche appare da alcuni suoi ricordi giovanili come questo inserito nel 1958 nei Fuochi fatui: Ogni volta che passo davanti al rosso caseggiato dove nacqui, vedo, al di là del cancelletto che dà sul cortile, due bambini: seduti sui calcagni, piluccano di tra la ghiaia certa erbolina che ha in bocca un sapore agretto (non cercai mai di conoscerne il nome: la profanerebbe). Ecco allora perché le sue poesie e prose liriche abbondano di spazi consolatori e quasi felici nelle descrizioni di paesaggi e del mondo della natura, così come al contrario quando la vita lo porta a vivere nella grande città in pieno sviluppo prima della Grande Guerra e dunque con spazi verdi sempre più ridotti, la sua malinconia, che talora sfocia in rabbia, non avrà confini al punto che nei versi di Pianissimo Genova non sarà neppure nominata e descritta solo come luogo di alienazione e di perdizione. E quando più tardi si abituerà infine alla vita nel capoluogo ligure, sarà per lui un piacere camminare al di fuori del centro e su per sentieri, percorrendo – come scriverà nelle Vedute di Genova – “quella che al giro del Follo s’inerpica di là del Bisagno – e la montagna sembra porgerle in fianco – ed è la mulattiera che conduce a Sant’Eusebio”. Riappacificatosi dunque con la Genova della periferia collinare e pur cominciando a cogliere anche nella metropoli spunti a lui congeniali, qui Sbarbaro vivrà di fatto tra il 1912 e il 1951 con le parentesi delle due guerre: nella prima richiamato alle armi e nella seconda sfollato prima a Spotorno e poi sulle sue frazioni collinari per sfuggire ai bombardamenti e poi alle violenze nazifasciste; e sarà proprio questa l’occasione per riavvicinarsi a quella natura vitale, fatta di foglie e di insetti oltre che di colori e profumi che era entrata in lui nei giorni dell’infanzia vissuti a Santa Margherita Ligure. E di questo mondo si nutre gran parte della sua produzione letteraria, offrendo così ai lettori occasione per conoscere da vicino, attraverso le sue parole, angoli di Liguria altrimenti ignoti; e se i lettori hanno anche la passione della fotografia ecco che gli scritti di Sbarbaro sono occasione unica per realizzare scatti di forte emozione come quelli esposti in questa mostra. E allora in una sequenza di immagini sempre più coinvolgenti, ecco apparire dai Trucioli e poi dai Fuochi fatui “alberi che sono delicate trine sciori- nate” e “il corbezzolo, mentovato da Lucrezio, che reca in una i mazzetti di bianchi fiori e lo scarlatto dei frutti”, e in autunno, i “grappoli che si scoprono, spogliando la vite, pregni di dolcezza”, mentre in marzo, allo sbocciare della primavera, “sul muro di cinta il tralcio del glicine s’incipria di azzurro” e più in su “gli uliveti salgono i colli, simili a greggi da tondere”; e se gli ulivi con le loro foglie che li adornano danno il senso della vitalità, “l’albero ignudo a mezzo inverno che s’attrista nella deserta corte” sollecita nel poeta un timore esistenziale: “io non credo di mettere più foglie e dubito d’averle messe mai” come leggiamo in una delle sue prime poesie inserite nella raccolta Pianissimo. E naturalmente non possono mancare gli amati licheni: “finché approdai ai Licheni… la dorata parmelia che il muro incrosta”. Della natura fanno parte anche i borghi che in essa si immergono e allora ecco spuntare un campanile che “in vista del cimitero, è un pastore che si trae dietro un gregge di croci e di cippi”, mentre nel paese marino il salmastro “morde le torri rosse di vedetta, lustra l’acciottolato dei portici tozzi e bui”. Già, il mare. A Santa Margherita Ligure il bambino Camillo non ha familiarizzato solo con le piante e gli insetti perché poco più in basso dalla casa della sua famiglia si raggiunge il mare e allora ecco che sulla spiaggia della sempre più attraente cittadina egli ha sentito il rumore delle onde e l’odore dell’acqua salata. E questa esperienza di vita marinara sarà poi ripetuta quando la famiglia, nell’autunno del 1894, si trasferirà a Varazze, altra cittadina di mare, per viverci fino al 1904; e al mare tornerà definitivamente per gli ultimi quindici anni della sua vita quando andrà a stabilirsi con la sorella a Spotorno. Ed ecco allora il mare entrare nelle sue poesie, diversamente e meno che nel primo Montale di Ossi di seppia dove rappresentava per il poeta la sola contrapposizione salutare alla freddezza della città. Per Sbarbaro c’era soprattutto la già ricordata simbiosi con il mondo naturale, sicché il mare da lui era visto come uno degli elementi, ma non l’unico e neppure il più appassionante, del mondo della natura anche se ad esso volentieri si abbandonava. E così “ti siedi e taci sulla spiaggia sterposa di contro a un pallido mare”, “un mare brulicante d’oro dove le vele sono fiamme esili” finché giunge l’ora del tramonto: “Quand’ecco, nell’appropriato scenario, il sole balza, bolla infuocata, sciorinandosi ai piedi un tremolante tappeto arancione”. E c’è il mare quieto come una “fredda lavagna infinita, percorsa da brividi di vento” e quello la cui “collera sugli scogli è il solo canto che s’accorda a te”, il mare che incornicia “il promontorio in faccia all’isolotto di Bergeggi” e quello a picco sotto “l’innocenza dell’albero! Il sole, l’acqua lo toccano in ogni foglia” in un dolce incrocio tra mare e vegetazione”. Ecco questo meraviglioso mondo naturale, ricco di ingredienti delle più varie specie, che troviamo soprattutto nelle pagine di prosa lirica di Sbarbaro, ora rivive nelle 33 fotografie, esito di artistica sensibilità e di avanzata tecnica, che sono qui esposte.




Quadrifonia

Non è mai semplice, quando si tratta di una mostra collettiva, individuare il filo che unisce gli artisti scelti, specie se si tratta di artisti di generazioni diverse e che utilizzano materiali diversi. Questa difficoltà può però essere la forza di una commistione di sensibilità e approcci, specie se il contesto espositivo è il fatto determinante, il motore primo dell’esposizione. E nel caso specifico, gli spazi industriali delle ex Officine Olivetti, una sorta di cattedrale dell’impresa italiana, del genio dell’impresa italiana, imponevano di essere all’altezza soprattutto nel senso della poliedricità, o della “polimeccanicità”, avrebbe detto Omero, delle opere che dovevano per forza echeggiare, pur lontane, il clima di innovazione introdotto da Adriano Olivetti.Con questa precauzione, insieme ad Andrea Daffra, abbiamo deciso di chiamare quattro artisti che sperimentano le quattro componenti base del fare arte e cioè forma, segno, materia, colore che è rimasto il sottotesto rispetto al titolo Quadrifonia, essendo la quadrifonia una tecnica di registrazione del suono che prevede quattro flussi sonori destinati a essere riprodotti ognuno da un diverso diffusore acustico. Ci è piaciuta, non solo l’idea di un suono composto da quattro suoni che proprio per questo assume, nella complessità, una purezza e una fedeltà assolute, e una unicità nuova, ma anche l’assonanza con “quadrofonia” che sarebbe stato un neologismo degno di Olivetti, una musica cioè proveniente dai quadri, nel miglior intento soprattutto dell’astrazione storica di inizio Novecento e delle idee di Henri Bergson, cioè di un’arte capace di mediare – come la musica – sentimenti, senza utilizzare figure. Così siamo partiti da Enzo Cacciola, membro storico della Pittura Analitica, di cui tra poco cadranno i cinquanta anni, che si è sempre mosso sul crinale tra segno e materia, cercando la via di un’arte concettuale che però non rinunciasse al dato pittorico né paradossalmente a quello materico, pur nella rarefazione del colore. In opposizione tensiva, una grande installazione di forte impatto visivo, sintetizza invece il lavoro di Marica Fasoli che abita quel territorio complesso tra astrazione e iperrealismo, venendo a definire un campo di azione nuovo in cui la materia si assoggetta al segno e il segno al colore; resta perfino il dato concettuale poiché l’artista principia il suo lavoro dalla costruzione di origami che poi vengono smontati e di cui rimane solo la piega. Federico Ferrarini, al contrario, che da anni lavora sulla pietra, innesta sul dato propriamente materico una componente di forte spiritualità che gli consente una fuoriuscita dal minimalismo e un’apertura verso il simbolismo, anch’egli con una istallazione che dialoga perfettamente con lo spazio Olivetti, piovendo dalle arcate come una cascata, la materia dura assume un carattere quasi aereo. Infine Alfredo Rapetti Mogol, in stretto confronto con Cacciola, si concentra sul segno che diventa testo, o per essere ancora più precisi sul testo che ritorna a essere segno: il pretesto assorbe il contesto e dunque il testo in una dimensione tra minimalismo e arte concettuale, ma intrisa di forte lirismo. Indimenticabile se il ami ac ur a, che esemplifica alla perfezione la questione su cui riflette da sempre l’artista milanese fin dagli esordi delle prime tele monocrome intessute di una scrittura segnica ma priva di riferimenti comprensibili, in questo caso però lo sforzo visivo e cognitivo dello spettatore è in grado di ricostruire il senso della frase che si appalesa miracolosamente e in questo sta la bellezza di un’opera che oserei dire “cinetica”.




In cammino con padre Mauri a Sestri Levante

“È una calda mattinata del giugno 1922. Sotto la pensilina della Stazione Centrale di Milano è in partenza il treno per la Riviera Ligure. Un gruppo di signore occupa un modesto scompartimento. È diretto con me a Sestri Levante per aprire una casa destinata all’assistenza delle madri vedove e orfani dei caduti in guerra. È il battesimo dell’Opera Madonnina del Grappa, ancora in pectore”. Così scrive padre Mauri, nel 1952. Da quell’anno ad oggi, circa 300mila persone sono arrivate a Sestri Levante. Hanno sostato presso l’Opera Madonnina del Grappa, hanno percorso le strade di Sestri, ne hanno incentivato l’economia, hanno potenziato i servizi delle ferrovie e degli uffici postali, hanno diffuso in tutta Italia la rilevanza turistica e culturale della città di Sestri e del suo territorio. La Casa di Sestri Levante è cuore pulsante della Chiesa e di tutta la Famiglia spirituale di Padre Mauri, diffusa in Italia e in Rwanda. La sua missione è quella stessa della Chiesa: annunciare con la vita che più forte della morte è l’amore e perciò solo l’amore salva. Un amore che si fa Casa che accoglie e dove ogni viandante della vita può sostare, dove c’è sempre una porta aperta e una luce accesa. Forse, in una notte buia, quella luce può essere un punto di riferimento e qualcuno che si era perduto può ritrovare la sua strada.  (dalla introduzione di Rita De Micheli – Responsabile Generale dell’Opera Madonnina del Grappa)

FRANCESCO BARATTA È nato e risiede con la moglie Rosetta a Sestri Levante: due figli e cinque nipoti. Commendatore della Repubblica e dell’Ordine Equestre di San Silvestro, già Presidente della Fondazione Beato Junipero Serra, è stato Presidente regionale e Consigliere nazionale dell’Unione Cattolica Stampa italiana e membro dell’Accademia Cultori di Storia Locale. Giornalista pubblicista, ha ricoperto significative responsabilità in ambito diocesano: direttore del periodico “Il Villaggio del Ragazzo”; Direttore di Telepace; direttore di “Voci dal deserto, monasteri di Betlemme”; direttore editoriale di “Serra Tigullio” ed è stato Direttore dell’Ufficio per la Promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica. È autore di libri e saggi pubblicati da Internòs Ed., Fratelli Frilli Ed., Le Mani, Il Geko edizioni. On line i suoi libri su: Unilibro, La Feltrinelli, Mondadori Store, Libreria Universitaria.it; Ibs.it. Di recente, ha condiviso con Pierluigi Pezzi le pubblicazioni: Don Marcello Botto, un parroco e la sua gente – 2016 e 2023; Alfredo Bastogi, Sacerdote di famiglia in famiglia – 2021; Agostino Dellepiane, sacerdote a Barbagelata dal 1951 al 1989; Da quel 2 luglio nell’orto … incontri e miracoli; Chiesa di Chiavari, da 130 anni diocesi – 2022; In cammino con padre Mauri a Sestri Levante – 2023.

PIERLUIGI PEZZI Nato e residente a Chiavari, con la moglie; una figlia e due nipoti. Laureato nel 1974, ha ricoperto ruoli di responsabilità nazionale nel mondo del lavoro e nei trasporti; fino al 2016, in Autostrade, a Roma. Perito Storico, tra il 2014 e il 2018, per la Causa di Beatificazione di don Nando Negri; da gennaio per la Causa di Beatificazione del giovane Albino Badinelli.  Nominato da Papa Francesco, il 13 febbraio 2023, Cavaliere dell’Ordine Equestre di San Silvestro papa; attualmente, assolve diversi incarichi presso la Curia Vescovile di Chiavari, in nome e per conto del Vescovo diocesano, mons. Giampio Devasini. Ha pubblicato (Il Geko edizioni): Mario Sbarbori, Un Dono – 2002; Don Gian – 2018; Chiavari per noi – 2020; È cambiato il mondo – 2023.  Con Margherita Casaretto: San P˘e, storie di nostra gente – 2017.  Con Francesco Baratta: Da San Quirico a San Bernardo; Don Botto, un parroco e la sua gente; Non solo don Nando; Olga e Gigetto Negri; L’arte culinaria nel bel Paese: regole e tradizioni per monasteri e abbazie; Alfredo Bastogi, sacerdote di famiglia in famiglia; Agostino Dellepiane, sacerdote a Barbagelata dal 1951 al 1989; Da quel 2 luglio nell’orto … incontri e miracoli; Chiesa di Chiavari, da 130 anni diocesi; In cammino con padre Mauri a Sestri Levante.




La Società del Giardino e Palazzo Spinola
Cenni Storici, Ambienti, Arte e Arredi

Nel 2023 la Società del Giardino raggiunge un traguardo prestigioso: quello dei duecentoquarant’anni di attività. Un’attività sociale che non ha mai subito interruzioni (se non quella della durata di un mese o poco più, imposta dagli austriaci a metà dell’800 durante i moti insurrezionali e quella, recentissima ma un po’ più lunga, dettata dalla pandemia). In alcune delle memorie storiche del Sodalizio si parla della Società del Giardino in questi termini, paragonando i soci a un mazzo di fiori: «…come i fiori, dovendo la propria prosperità all’essere stati trapiantati dalle modeste sedi di Vicolo dei Ponzi, di Due Muri e infine Via Clerici per crescere, a partire dal lontano 1818, in floridezza e fama nel monumentale palazzo Spinola…». Queste furono le radici curate e coltivate «…da un esiguo gruppo di buoni ambrosiani, fino a raggiungere quella floridezza e armonia di intenti dovuta al concorde volere di gentiluomini rispettati nelle scienze, nelle arti, nelle industrie, onorandosi di appartenere al Circolo…». Rileggere queste poche parole scritte dal Consiglio Direttivo al principio del Novecento significa respirare quella che è ancora oggi l’atmosfera del Circolo: gentiluomini orgogliosi di esserne parte, assicurando continuità alle tradizioni conviviali, culturali e di amicizia che da sempre animano la vita sociale quotidiana a Palazzo Spinola. Nel corso di più di due secoli, la Storia, quella con la S maiuscola, è passata dalle sale del nostro Circolo: la grande temperie culturale dell’Illuminismo, la parabola di Napoleone, la restaurazione austriaca, i moti insurrezionali, il Regno d’Italia, i due grandi conflitti mondiali, fino ad arrivare alle sfide dei nostri giorni. Il Circolo è stato testimone anche di tante trasformazioni e molteplici cambiamenti verificatisi nel tessuto sociale, nel mondo dell’impresa, nell’urbanistica, senza che queste ne abbiano intaccato lo spirito costituente che è rimasto integro, resistente. La sede sociale è stata via via arricchita e abbellita nonostante i rilevanti danni subiti a causa del bombardamento alleato su Milano dell’agosto 1943. La compagine sociale ammonta oggi a più di cinquecento soci: soci che sono anzitutto amici, che continuano a rappresentare un punto di riferimento per la città di Milano, ma senza apparire. Anzi: con garbato, silenzioso profilo. Il primo numero del «Corriere della Sera» (siamo nel 1876) che consta di tre pagine di cronaca riporta, nella sezione della cronaca cittadina titolata Effemeridi Milanesi, il resoconto di una riuscita festa al Circolo, dove l’atmosfera era di viva internazionalità. Internazionalità che ancora oggi ci pregiamo di coltivare, attraverso quella rete di selezionate reciprocità con Circoli di tutti i continenti, partendo da una Milano che, da sempre, non ha voluto rinunciare alla vocazione che viene dal suo nome: mediolanum, terra di mezzo, terra di incontro tra nord e sud, tra est e ovest. Restiamo nell’Ottocento: nel 1881 l’editore Vallardi affidò a Vespasiano Bignami, pittore Scapigliato anima della Famiglia Artistica Milanese, il compito di descrivere il variegato mondo dell’associazionismo milanese. Scrive Bignami, paragonando i milanesi a «molecole simpatizzanti» che formano «nuclei per forza di attrazione e si vanno ingrossando»: «ho scoperto che se i milanesi si associavano così volentieri e la duravano a tenersi uniti, manifestavano d’essere di buona pasta e laboriosi, perchè le associazioni o si propongano una meta seria, o sieno mero passatempo, oppure una mistura di questi due ingredienti, portano sempre del lavoro». Labor omnia vincit.

Vantiamo inoltre una tradizione sportiva che è frutto di una scelta strategica dei nostri predecessori, i quali videro nella pratica della scherma una disciplina sportiva utile al corpo e al carattere, funzionale alla crescita psicoattitudinale e fisica del galantuomo. Questa tradizione ultracentenaria ha portato la Società del Giardino a ricevere, per prima in Italia, il Collare d’Oro al Merito Sportivo, attribuitoci nel 1997 dal C.O.N.I. per i tanti successi olimpici e mondiali dei nostri atleti. Nel medesimo anno abbiamo ricevuto il Trofeo Olimpico dal C.I.O. La nostra Sala d’Armi è infatti ancora oggi la società sportiva nazionale che ha vinto di più, con i suoi ventinove ori olimpici e quarantasei ori mondiali. I rapporti con il Corpo Diplomatico, con le Forze Armate, con i numerosi Circoli Reciprocati in Italia e all’estero e con le istituzioni culturali del territorio fanno sì che la Società del Giardino sia oggi un punto di riferimento per la città di Milano. Il Circolo è socio permanente della Croce Rossa Italiana sin dai primissimi anni del Novecento. È dunque con grande piacere che quest’anno ristampiamo il presente volume, che ripropone, aggiorna ed integra il catalogo illustrato organizzato per sale della quadreria, delle sculture e degli arredi ideato e curato dal Starleen K. Meyer ed edito in prima edizione nel 2008, e ristampato nel 2016. Sono state inserite due nuove sezioni, con contenuti inediti. Una prima sezione si sofferma ad elencare gli ambienti e le sale più importanti di Palazzo Spinola, dandone anche qualche cenno storico, per poter meglio seguire la descrizione del patrimonio artistico illustrata nel corpo principale del volume. È stata poi aggiunta una seconda sezione: una nuova ricerca storica e iconografica che vorrebbe provare a comprendere come il Circolo ha rappresentato graficamente la propria identità nel corso degli anni, a partire dagli albori. Si è cercato infatti di ricostruire la storia e l’evoluzione di quello che potremmo oggi chiamare il logo del Club, ovvero la corbeille floreale che oggi lo rappresenta. Emerge così dalla narrazione, combinata alle schede di catalogo e alle immagini, una guida al patrimonio artistico della Società del Giardino inserita nel contesto storico, culturale e sociale che l’ha vista nascere, svilupparsi ed evolversi.




Giuseppe Pesa a Camogli
Memoria di una bellezza infinita

Per ragioni di età e di ancora discreta memoria posso rientrare fra le persone che si ricordano del pittore Giuseppe Pesa. Per averlo visto muoversi a Camogli e per aver potuto guardare le sue opere … quando le realizzava e anche in seguito nelle case dei suoi numerosi e agiati committenti e in qualche esposizione come quella allestita adesso. Ricordo abbastanza nitidamente – nonostante la differenza di anni – lui un uomo fatto e io un ragazzo, quel tipo di provenienza meridionale ( credo calabrese) di bassa statura, di modi spicci e di parlata svelta, un po’ agitata che doveva essere arrivato a Camogli per qualche motivo personale e aveva probabilmente riconosciuto nel paesaggio, nel porto di Camogli, nelle sue case e soprattutto nell’ambiente marino un’affinità strutturale e coloristica con la sua terra di provenienza, che nel corso della sua attività artistica fu capace di restituirsi nei suoi quadri, con sensibilità personale e maestria tecnica evidente. Di mio posso aggiungere che ho trovato una volta un testo di prosa di Montale che accostava – da par suo – alcune qualità paesaggistiche delle “sue” giovanili Cinque Terre con l’attraente originalità territoriale della Calabria Tirrenica (lascio il valore del riferimento a chi lo ha formulato). E così anche all’impreparazione del ragazzo o del giovane che ero io allora, quei quadri di Pesa apparivano piacevolmente composti e coloristicamente risolti in maniera affine alla migliore tradizione paesaggistica regionale e nazionale. Di quelle lontane emozioni conservo dunque una gradevole memoria non disgiunta dalla gratitudine dovuta a chi ha saputo leggere la realtà dove vivevo ( e continuo a stare) e a farmene risaltare l’obiettiva bellezza Silvio Ferrari 31 luglio 2023




Don Marcello Botto
Un parroco e la sua chiesa

In questo volume con prefazione di mons. Alberto Tanasini – Vescovo diocesano di Chiavari, sono tre le parti proposte: • una semplice biografia di don Marcello, per ricordare le tappe della sua vita, collocandole nel contesto familiare, sociale, economico e culturale del territorio e della chiesa chiavarese.. • La documentazione riferita ai lavori di rigenerazione della Basilica di S. Salvatore dei Fieschi, all’inizio del ministero parrocchiale di don Botto (1968 – 1970), favorisce la riscoperta dell’immagine di don Marcello in preghiera nella sua chiesa; c’è un intreccio spirituale, nel fascino mistico della semplicità, nella bellezza ascetica del tempio, tra le note armoniose di un silenzio essenziale. • Le omelie nella Messa domenicale, nell’ultimo anno di vita di don Marcello con una chiave di lettura suggerita da don Federico Pichetto (certamente tra gli eredi spirituali di don Marcello e Missionario della Misericordia nel Giubileo Straordinario del 2016 voluto da Papa Francesco). La lettura di queste meditazioni appare come una sfida per i nostri giorni: più ti addentri nello scorrere le omelie di don Marcello più intuisci l“oceano di santità” nel quale ha vissuto, sempre con un anelito di Paradiso.

FRANCESCO BARATTA È nato e risiede con la moglie Rosetta a Sestri Levante: due figli e cinque nipoti. Commendatore della Repubblica e dell’Ordine Equestre di San Silvestro, già Presidente della Fondazione Beato Junipero Serra, è stato Presidente regionale e Consigliere nazionale dell’Unione Cattolica Stampa italiana e membro dell’Accademia Cultori di Storia Locale. Giornalista pubblicista, ha ricoperto significative responsabilità in ambito diocesano: direttore del periodico “Il Villaggio del Ragazzo”; Direttore di Telepace; direttore di “Voci dal deserto, monasteri di Betlemme”; direttore editoriale di “Serra Tigullio” ed è stato Direttore dell’Ufficio per la Promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica. È autore di libri e saggi pubblicati da Internòs Ed., Fratelli Frilli Ed., Le Mani, Il Geko edizioni. On line i suoi libri su: Unilibro, La Feltrinelli, Mondadori Store, Libreria Universitaria.it; Ibs.it. Di recente, ha condiviso con Pierluigi Pezzi le pubblicazioni: Don Marcello Botto, un parroco e la sua gente – 2016 e 2023; Alfredo Bastogi, Sacerdote di famiglia in famiglia – 2021; Agostino Dellepiane, sacerdote a Barbagelata dal 1951 al 1989; Da quel 2 luglio nell’orto … incontri e miracoli; Chiesa di Chiavari, da 130 anni diocesi – 2022; In cammino con padre Mauri a Sestri Levante – 2023.

PIERLUIGI PEZZI Nato e residente a Chiavari, con la moglie; una figlia e due nipoti. Laureato nel 1974, ha ricoperto ruoli di responsabilità nazionale nel mondo del lavoro e nei trasporti; fino al 2016, in Autostrade, a Roma. Perito Storico, tra il 2014 e il 2018, per la Causa di Beatificazione di don Nando Negri; da gennaio per la Causa di Beatificazione del giovane Albino Badinelli.  Nominato da Papa Francesco, il 13 febbraio 2023, Cavaliere dell’Ordine Equestre di San Silvestro papa; attualmente, assolve diversi incarichi presso la Curia Vescovile di Chiavari, in nome e per conto del Vescovo diocesano, mons. Giampio Devasini. Ha pubblicato (Il Geko edizioni): Mario Sbarbori, Un Dono – 2002; Don Gian – 2018; Chiavari per noi – 2020; È cambiato il mondo – 2023.  Con Margherita Casaretto: San P˘e, storie di nostra gente – 2017.  Con Francesco Baratta: Da San Quirico a San Bernardo; Don Botto, un parroco e la sua gente; Non solo don Nando; Olga e Gigetto Negri; L’arte culinaria nel bel Paese: regole e tradizioni per monasteri e abbazie; Alfredo Bastogi, sacerdote di famiglia in famiglia; Agostino Dellepiane, sacerdote a Barbagelata dal 1951 al 1989; Da quel 2 luglio nell’orto … incontri e miracoli; Chiesa di Chiavari, da 130 anni diocesi; In cammino con padre Mauri a Sestri Levante.




Il Diritto di una Scintilla

Qual è il Diritto di una Scintilla? Scatenare un immenso incendio: ed è questo che accadrà durante una semplice caccia al tesoro tra amiche, che si rivelerà tutt’altro. Storie ambientate in più epoche s’intrecciano e sono connesse in un grande “Gioco”: i migliori avventurieri del mondo si sfidano tra enigmi e ostacoli oltre l’ultima frontiera, nei luoghi più selvaggi e inospitali del Pianeta. Qual è il mistero dietro al grande sistema? Questo è il primo libro di una saga che condurrà il lettore in un mondo nel mondo, in cui scoprire le radici dell’esistenza.

CHRISTIAN ROCCATI è scrittore, guida ed esploratore. Dirige l’Extreme Team di Kailas, per cui fa formazione e conduzione. Storico, artista, Accademico e Testimonial Alpinistico del GISM, ha al suo attivo oltre 34 libri, 1500 articoli, premi letterari e più di 700 conferenze tra cui il TEDx. Atleta agonista con 8 podi ai campionati italiani e numerosi record, tra cui un viceprimato nazionale e il minimo per i mondiali, pratica in apertura e ripetizione ogni disciplina esistente nel panorama outdoor, tra le terre estreme del mondo, dalle salite sulle montagne himalayane alle traversate nei deserti, sul mare congelato o nelle foreste, dalle scalate sulla punta dei millimetri alle immersioni sotto il ghiaccio o le discese in grotta.




Come in un sogno avverato

“Perché la poesia in questo mondo infame è la strada verso la luce che illumina la vita di un umile”. Questo è quello che mi disse una volta un barbone ubriaco sulle rive di un fiume senz’acqua. Sembravano parole senza senso invece mi hanno accompagnato per tutta la vita. Perché la poesia è compagna di chi è solo, di chi non riesce a gridare la sua gioia e il suo dolore, di chi ha paura di conoscere e di sapere ma che dentro sa e conosce il senso della vita.

STEFANO DE LORENZI (1956) non è un poeta di professione, ma ha vissuto la vita come se fosse una poesia. È stato un magazziniere, un cantautore, un regista radiofonico, un responsabile commerciale, un ristoratore, un creatore di agriturismi, un contadino, un produttore di birra, un consumatore appassionato di vino, un marito, un papà, un nonno.




CABIRIA 203-204
Studi di cinema

Ritorno ad Assisi Ogni volta che torniamo ad Assisi è un’occasione per scoprire novità dimenticate: nell’Archivio della Pro Civitate Christiana, tra le carte impolverate, abbiamo trovato altre preziose testimonianze, come gli interventi che Pier Paolo Pasolini ha tenuto nei vari convegni che là si tenevano regolarmente negli anni Sessanta e che radunavano cineasti, scrittori e intellettuali di ogni provenienza e tendenza. E quindi, non solo per far conoscere due testi inediti del poeta-regista, ma anche per fare un po’ di chiarezza sulle date, sui titoli e sui partecipanti, con Giovanni Ricci abbiamo deciso di realizzare questo nuovo Laboratorio su un argomento già affrontato in «Cabiria» 199-200. Ricci, da esperto dell’opera di Pasolini qual è, con spirito da ricercatore e scrupolo da filologo, ha saputo collocare quei due discorsi nel contesto in cui sono stati pronunciati, ma anche più in generale nei multiformi temi dell’autore, ipotizzando anche un possibile rimando alle frequentazioni assisane tra le pieghe delle novelle boccaccesche del film Decameròn. Un altro episodio dimenticato dell’attività di Pasolini come sceneggiatore lo racconta Alberto Anile: riguarda un film hollywoodiano girato in Italia, in Friuli, terra di elezione per il poeta di Casarsa. Ma le riscoperte non finiscono qui: Adriano Aprà presenta e traduce un saggio del critico Michel Mourlet che a distanza di più di sessant’anni non ha perduto una virgola della sua carica provocatoria; Rinaldo Vignati torna a esplorare i rapporti tra Montanelli e il cinema, rivelandoci contatti insospettati con personaggi del calibro di Walt Disney e Margherita Sarfatti. E poi un dibattito allargato su cinema e diversità culturali a cui partecipò Rossellini; un racconto di Chaplin pressoché sconosciuto; il rapporto tra David M. Turoldo, uomo di fede e di cultura, e il cinema… Per finire il nuovo film di Bellocchio che, come al solito, ci stupisce per la sua capacità di esplorare le contraddizioni dell’animo umano tra una famiglia naturale e una elettiva, tra fede e fanatismo. Ce n’è per tutti i gusti, mi auguro. Marco Vanelli




La Signora Meloncini e tutti gli altri
Quarantaquattro racconti

“Sarebbe meglio sedersi in un bar e prendere un caffè con la Signora Meloncini, stare con lei una mezz’oretta ad ascoltare i suoi commenti per confondere profondità e leggerezza, per scoprire alla fine che il mondo è un po’ diverso da come lo avevamo immaginato”. (dalla prefàzione di JR. Rebay)




Colombara Neroro

È da una palpabile fragilità che prende forma la materia che Piergiorgio Colombara plasma con estrema eleganza e raffinatezza esecutiva. Surrealista nell’evocare e occultare insieme le fisionomie che vuole suggerire, rigorosamente sottovoce, all’osservatore più curioso e attento. L’Arte di Colombara non è, infatti, amicale, pone continuamente interrogativi che spesso restano insoluti; i suoi lavori ci mettono in crisi e provocano un vitale straniamento, stimolandoci a compiere una riflessione più profonda che travalica la realtà. Colombara soppesa le parole da utilizzare per raccontare le proprie creazioni, si serve dei titoli – spesso emblematici – per dare corpo e spessore, così come misura la massa stessa che impiega senza mai eccedere. La corposità e la durezza dei metalli (bronzo, ottone, rame, piombo) è in dialogo costante, ora con la morbida e calda cera, ora con il vetro soffiato per definizione leggero e delicato: nelle sue mani tutti gli elementi sono sgravati dal proprio peso, modellati per diventare i profili tubolari delle sue “gabbie” o resi finissimi steli che si librano nello spazio.Il gioco dei contrasti materici tra metallo e spazialità aerea, spesso abitata da filamenti e “ricami metallici” – sosteneva Gillo Dorfles – crea una “titubanza percettiva” che costituisce uno dei fattori più enigmatici dell’Opera dello scultore genovese. Dalla tensione enigmatica del vuoto agli echi culturali antichi fino alla raffinatezza della tecnica esecutiva, l’universo creativo di Colombara è abitato da vesti, motivi geometrici in pizzo, merletti, corpetti, guanti traforati, maschere ma anche da scale, urne, aerei, strumenti musicali afonici che smarriscono la propria entità e funzione per trasformarsi in oggetti per cerimoniali di un culto remoto, reliquari di riti e incantesimi.




C’Arte

Guardare e vedere oltre, guardare oltre e scoprire qualcosa dentro di noi di insperato. Può succedere nei magici momenti di suggestione contemplativa. Può succedere di fronte a un’opera d’arte che cattura la nostra attenzione al di là dell’immagine proposta, talora addirittura nonostante quell’immagine. In particolare il mondo dell’arte può offrire tali straordinarie opportunità. Le opere di Rino Valido costituiscono un perfetto esempio di un simile processo di conoscenza poiché esaltano le capacità seduttive del paesaggio. La sua pittura, che potremmo definire “poeticamente informale”, nasce da un processo figurativo che tanti anni fa ha subito una violenta folgorazione grazie alla frequentazione della Camargue che non descrive ma interpreta la natura, la plasma di contrastanti tonalità, come se fossero pennellate di luci e di ombre a determinarne l’anima. Da quel momento Valido ha trasferito sulla tela e sulla carta quelle emozioni che in seguito ha rinvenuto in altri paesaggi reali o alimentati dall’emozione. Il nostro artista ha dunque attivato quel processo di conoscenza dell’“oltre” per realizzare le sue opere. Ogni osservatore riesce dunque a scoprire o a recuperare il “paesaggio” che gli compete in ciò che gli viene proposto come elemento di ricerca o come alimento da consumare con lo sguardo. Noi tutti ci riconosciamo in un’immagine piuttosto che in un’altra proposta da un dipinto di grandi dimensioni o emersa da un piccolo quadro suscitato da un’improvvisa folgorazione. Ogni sua opera vive infatti di intima completezza. Anche le carte assorbono e diffondono la medesima magia. In particolare quelle carte che riescono a suggerire all’artista, nella loro discontinua palpabilità, la tipologia di approccio compositivo. Sotto tale profilo l’attuale mostra di Rino Valido, intitolata “C’Arte”, accolta nel Museo delle Cartiere di Toscolano Moderno, in provincia di Brescia, assume una particolare importanza poiché, se è vero che materia chiama materia, i risultati offerti dalla cartiera sposano con effetto simbiotico i comportamenti pittorici dell’artista ligure. Infatti il gesto, almeno il primo gesto, subisce il fascino di una superficie non perfettamente omogenea che invita a inseguire la traccia partendo dalla sua nascita. Egli è intervenuto proprio su questi fogli modellati dalle storiche cartiere della valle e filigranati dallo stesso museo. In tal modo suggestione chiama suggestione. Per portare due esempi illustri, Leonardo guardava e recuperava per il suo comportamento “narrativo” determinati segni dell’intonaco e Picasso inseguiva e acquisiva le dilatazioni zoo-antropomorfe dell’inchiostro sulla carta assorbente. Avvalendosi di tale insegnamento il nostro artista ha riversato tonalità suggerite da un simile supporto per costruire un ambiente di leggerezza e di complicità compositiva.




Sestri Ponente nel cuore e nella memoria
Ricordi dal 1950

Per scrivere questo libro non abbiamo seguito un filo logico, ma abbiamo trattato tanti argomenti slegati l’uno dall’altro come: il cambiamento dei nostri quartieri, i negozi vicino a casa, i giochi e divertimenti, le scampagnate sulle vicine alture, le spiagge a pochi passi, la festa dei Patroni, i cinema di un tempo, i trogoli quasi tutti scomparsi e la strada delle “vasche”, com’e-rano cinquanta anni fa. Per rendere il volume più completo abbiamo utilizzato 195 fotografie, in parte personali e in parte donate da amici. In alcuni casi le immagini non sono abbastanza nitide e a volte usurate dal tempo, ma sono ugualmente significative per inquadrare i tempi di cui abbiamo voluto parlare. Sono molti gli spunti che possono accendere tanti ricordi ai nati negli anni’50 e curiosità ai più giovani. Il ricordo è qualcosa che arriva dal passato ma può essere un oggetto oppure un pensiero, una sensazione, un sapore, un odore, un suono, un luogo. Quello che rievoca questo libro ha a che fare con il nostro vissuto, la nostra missione, un coacervo di sensazioni che ci permettono di mantenere vivo il nostro legame con gli altri, con la nostra identità.




Chiesa di Chiavari da 130 anni Diocesi 1892-2022

Una ricostruzione della storia della comunità cristiana del Tigullio dalle origini ad oggi: ricostruzione sintetica, certo, ma che non tralascia mai di riportare i dati più significativi. Una descrizione della chiesa Cattedrale particolarmente articolata: illustrazione delle opere d’arte in essa custodite, spiegazione di quegli elementi che il visitatore rischia o di non vedere o di vedere senza coglierne appieno il senso, narrazione delle nascita e dello sviluppo della devozione a N. S. dell’Orto e dei miracoli attribuiti alla sua intercessione. Una breve presentazione degli altri Santuari mariani presenti in Diocesi, a cominciare da quello di N. S. di Montallegro. Una considerazione: visitando le comunità parrocchiali ho potuto constatare quanto sia profondamente radicata la devozione alla Vergine Madre, una devozione aliena da eccessi e cristologicamente orientata. Alcuni semplici e chiari approfondimenti delle verità della fede cattolica e la trattazione di alcune figure di Santi/e capaci di trasmettere insegnamenti preziosi anche agli uomini e alle donne del nostro tempo. Ho notato inoltre, con piacere, un accenno al cammino sinodale in corso nelle Diocesi di tutto il mondo e quindi anche nella nostra. Un’ampia cronotassi dei vescovi di Chiavari e i dati essenziali dei vescovi di origine chiavarese.

FRANCESCO BARATTA– E’ nato e risiede a Sestri Levante. E’ autore di libri e saggi pubblicati da: Internòs Edizioni, Fratelli Frilli Editori, Le Mani Edizioni, Il Geko Edizioni. On line libri di Francesco Baratta su: Unilibro, la Feltrinelli, Mondadori Store, Ibs.it, libreriauniversitaria.it. Già giornalista pubblicista, ha ricoperto molteplici incarichi in ambito diocesano: direttore del periodico “Il Villaggio del Ragazzo”; Direttore di Telepace; direttore di “Voci dal deserto, monasteri di Betlemme”; direttore editoriale di “SerraTigullio”. E’ stato Presidente regionale e consigliere nazionale dell’Unione Cattolica Stampa Italiana ed è membro dell’Accademia Cultori di Storia Locale.

PIERLUIGI PEZZI – Nato e residente con la moglie a Chiavari: una figlia e due nipotine. Laureato con tesi in filosofia della storia nel 1974, ha ricoperto ruoli di responsabilità nazionale nel mondo del lavoro nei trasporti, con la partecipazione a meeting internazionali in molti Paesi dell’Unione Europea; fino al 2016, a Roma in Autostrade. Nominato dal Vescovo di Chiavari, dal 2014 ha svolto il compito di Perito Storico nella Causa di Beatificazione del sacerdote Ferdinando Negri e, nel 2018, di portitore della relativa documentazione presso la Congregazione dei Santi in Roma. Studioso di storia locale, ha pubblicato: Mario Sbarbori, un Dono – 2002; Da San Quirico a san Bernardo (con F. Baratta) – 2014; Don Botto, un parroco e la sua chiesa (con F. Baratta) – 2016; San Pê de Canne (con Margherita Casaretto) – 2017; Don Gian – 2018; Non solo don Nando; Olga e Gigetto Negri (con F. Baratta) 2018; Chiavari per noi – 2020; L’arte culinaria nel Bel Paese; regole e tradizioni per monasteri e abbazie (con F. Baratta) – 2021; Agostino Dellepiane (con F. Baratta)- 2022; Da quel 2 luglio nell’orto … Incontri e miracoli (con F. Baratta)- 2022




Mal d’Irene

Cosa succede quando il destino suona alla porta e si materializza sotto forma di raccomandata, segnando lo spartiacque tra l’avventurosa e marginale vita artistica del prima e il luminoso futuro a cui andare incontro? Mal d’Irene è una parabola individuale sempre in equilibrio sulla sottile linea di confine che separa e che unisce la fantasia e la realtà, la verità e la sua rappresentazione. Che prende il teatro e il suo mondo a paradigma di una condizione sociale e umana sempre più dilagante nel nostro tempo.

 GIANLUCA MOTTA , vive a Genova e lavora nella comunicazione pubblicitaria come consulente, copywriter, storyteller e come una serie di altre cose che quando ha cominciato ancora non avevano un nome. Ha lavorato come giornalista, scritto e diretto spettacoli teatrali e partecipato come autore al Merano TV Festival con un Format TV che ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria. Con le sue poesie ha partecipato a numerose letture e manifestazioni culturali e ha organizzato cicli di spettacoli poetico-musicali. Ha pubblicato la raccolta di poesie “Il Dente del Pregiudizio” e partecipato alla Fabbrica Globale dell’Antilibro, prima rassegna internazionale dell’editoria autoprodotta. Mal d’Irene è il suo primo romanzo. Forse un’autobiografia mancata.




Antoon van Dyck genovese

Durante la mostra su Van Dyck, tenutasi a Genova del 2018, è risultato evidente che lo studio dello sviluppo progettuale, pittorico e dell’utilizzo dei materiali, delle opere conservate nelle istituzioni culturali genovesi, non era mai stato affrontato. Per questo motivo si è proposto un progetto che, grazie all’applicazione le indagini scientifiche, portasse a conoscenza il modo di costruire e quali materiali usasse Van Dyck nelle sue opere, durante il soggiorno genovese. La ricerca si è svolta su un totale di sedici dipinti e ha avuto il merito di fare luce su come lavorasse il pittore durante il suo soggiorno a Genova, ma ha permesso, anche, di eseguire un confronto con il modus operandi della sua vista artistica. I risultati delle analisi sono stati presentati al convegno internazionale di Bruges, nel marzo del 2022, e riportati, tramite un ampio corpus di immagini e le tabelle esplicative, in questo testo.

MICHELA FASCE , l’autrice, laureata in Conservazione dei Beni Culturali, in Storia dell’Arte, in Diagnostica per i Beni Culturali e Specializzata in Storia dell’Arte, affronta da anni il tema dell’indagine diagnostica per comprendere, sia da un punto di vista scientifico sia da un punto di vista storico, lo sviluppo delle tecniche pittoriche e i materiali utilizzati. Grazie alla strumentazione scientifica, di cui si è dotata, ha avuto modo di creare un ampio data-base per confrontare i materiali utilizzati e comprendere come avveniva la progettazione dei dipinti. Questo è utile a comprendere non solo come operavano gli artisti, ma, in alcuni casi, anche se l’opera è autografa oppure no.




CABIRIA 202
Studi di cinema

Un omaggio a Michelangelo Antonioni nel 110° anno della sua nascita: non un omaggio qualunque, ma un’indagine approfondita dei suoi rapporti con altri intellettuali, Roland Barthes per primo, intorno alla realizzazione di Blow-up, al clima culturale dell’epoca, alla natura di immagine, di fotografia, di fotografia in movimento, di pittura, di punctum… Questo è ciò che trovate nel Laboratorio di questo fascicolo, che ha richiesto un tempo supplementare di ricerche, verifiche, correzioni e integrazioni e perciò arriva nelle vostre mani con cinque mesi di ritardo. Me ne scuso e me ne assumo tutta la responsabilità, salvo garantirvi che ciò è avvenuto per offrire come sempre un prodotto il più documentato possibile. Alle volte, per raggiungere la completezza a cui tendiamo, succede di aspettare fino all’ultimo che dei materiali d’archivio siano resi disponibili: passano giorni, settimane, mesi… e poi non arrivano. È il caso dello studio sull’esperienza giamaicana di Roberto Rossellini, argomento che non molti conoscono, su cui siamo comunque in grado di fornire una prima ricognizione ampia, precisa, fatta di contratti, arrivi e partenze, fusi orari, memorie personali del grande regista, dell’allora sua moglie Ingrid, del giornalista di «Epoca» che fu testimone oculare del fallimento di un’impresa impossibile (mettere assieme le regole hollywoodiane con il genio rosselliniano), ma proprio per questo quanto mai stimolante. Ci torneremo su. Inoltre: un memoriale di Mario Bernardo, cineasta militante oggi dimenticato, sulle sue esperienze in Cina per realizzare un documentario per conto di San Marino; una novella cinematografica di Marino Moretti (narratore crepuscolare anche lui dimenticato) sul grande Sto (ma anche contributi suoi); l’analisi dell’ultimo, sorprendente e inclassificabile lavoro di Aleksandr Sokurov Fairytale – Una fiaba.




Il trasporto urbano genovese in Val Bisagno
Corrado Bozzano Claudio Serra

Dopo la recente uscita di “Un secolo in corriera lungo la Statale 45”, ricerche approfondite, preziose ed inedite immagini, importanti documenti, costituiscono i motivi di realizzazione di questo nuovo volume sulla Val Bisagno. Sono trattati la storia dei servizi di trasporto pubblico tra il centro città e Staglieno, Molassana e Struppa: la strada di fondovalle fino a Prato, una volta definita “Nazionale”, percorsa nel tempo da diligenze, omnibus a trazione animale, vetture tranviarie ed autobus. Sono ricordate anche le diramazioni per le frazioni collinari esercite da autolinee. In appendice un capitolo sulla storia della ferrovia delle Gavette.

CORRADO BOZZANO è nato nel 1945 a Genova ove risiede. Fra i suoi interessi il settore dei trasporti ed in particolare quello automobilistico, nel cui ambito conduce da molti anni una ricerca tesa a ricostruire l’origine e l’evoluzione dei servizi nel comprensorio ligure.

CLAUDIO SERRA è nato a Genova nel 1966 dove abita e lavora. Da parecchio tempo si occupa di storia e ricerche sul trasporto pubblico e le vie di comunicazione con particolare riferimento a quelli della sua regione. Si dedica inoltre alla storia del costume italiano in ambito teatrale e cinematografico.




Prendiamo il Laviosa
Storia illustrata del trasporto pubblico tra Genova e Piacenza attraverso le valli Bisagno e Trebbia e ricordi di una ferrovia: la Piacenza- Bettola

Con questo terzo lavoro si aggiunge un altro importante tassello alla nostra opera di ricerca storica sul trasporto pubblico nel territorio ligure ed in particolare lungo le vie dell’oltregiogo che si dipartono da Genova. Nel 1999 iniziammo con la pubblicazione del volume “La freccia del Turchino” relativo alla storia delle vie di comunicazione e dei trasporti nella Valle Stura, seguito due anni più tardi dal libro “Da Genova alla valle del Po” relativamente alle valli Polcevera e Scrivia. Il presente volume tratta la storia dei trasporti attraverso le valli Bisagno e Trebbia lungo la strada statale 45 tra Genova e Piacenza e le sue diverse diramazioni. Il titolo. “Prendiamo il Laviosa” divenne per svariati anni un detto di uso comune per gli abitanti delle due vallate. In Italia ciò accadde anche per altri vettori tra cui SITA, SATI e Lazzi. Molti ricorderanno che nel genovesato ancora fino a non molti anni fa, si era soliti dire “Prendiamo il Lazzi”. Il ruolo della corriera, in origine null’altro che un autocarro adattato con carrozzerie artigianali al trasporto di persone, è stato per moltissimi anni di fondamentale importanza essendo l’unico mezzo “veloce” di comunicazione in territori non serviti da altri veicoli di trasporto pubblico. Oltre al trasporto di persone, la corriera assolveva quello della posta, della frutta e verdura per i mercati, dei giornali, dei medicinali. Un aspetto curioso, divenuto consuetudine da parte degli abituali passeggeri, era raccontare fatti e novità – a volte un po’ enfatizzate – di ciò che accadeva in città a famigliari ed amici rimasti al paese. L’arrivo della corriera scandiva le ore, tanto che spesso questa fungeva da orologio. Anche il conducente era un’entità che doveva essere in grado di fare di tutto: dal suo lavoro primario di guidatore, alla pulizia del veicolo, alla sua manutenzione e ad intrattenere i rapporti con le persone. Tutta la popolazione conosceva l’autista, così pure si conoscevano bene le abitudini reciproche. Senza dimenticare il bigliettario, il cui compito andava ben oltre la semplice vendita dei biglietti: la “coppia”, spesso fissa, costituiva infatti un sicuro riferimento per ogni necessità dei passeggeri ed anche dei residenti nelle varie località raggiunte lungo il percorso. Negli anni Trenta l’automobile, concepita alcuni decenni prima, iniziò ad avere una certa diffusione, per cui furono migliorate le condizioni delle strade e delle relative infrastrutture, con evidente giovamento anche per i servizi di autolinea, che conobbero (pur con il lungo periodo di difficoltà dovuto al secondo conflitto mondiale) una fase di continuo sviluppo fino alla fine degli anni Cinquanta. Il decennio successivo, infatti, portò lentamente verso la metà degli anni Sessanta al declino della corriera; l’automobile, a seguito del periodo di “benessere economico”, era diventata alla portata della famiglia italiana media. Le valli del Bisagno e del Trebbia, in quanto a strade ed altre vie di comunicazione, erano rimaste un po’ indietro. Le comunicazioni tra Genova e la Valle Scrivia, attraverso il passo dei Giovi, erano già state favorite con la costruzione delle due ferrovie (a partire dal 1854), dell’autocamionale (1935) e del suo raddoppio in autostrada “A7” (negli anni Sessanta); anche per la Valle Stura, già nel 1894 il primo treno tra Genova ed Acqui Terme aveva superato il passo del Turchino, e più recentemente, nel 1977, venne aperta l’autostrada “A26”. Le comunicazioni tra Genova e Piacenza hanno beneficiato invece soltanto di rettifiche – pur importanti e vantaggiose – alla viabilità della vecchia “Strada Statale 45”. Il miglioramento del tenore di vita e la più facile mobilità ha fatto mutare le abitudini. Una volta era consuetudine trascorrere l’estate in località vicine alla propria città, oggi si gira il mondo. In sostanza vogliamo dire che se una volta andare con il Laviosa da Genova a Piacenza poteva considerarsi una vera e propria avventura, oggi non lo è più nemmeno per andare dall’altra parte del globo. I tempi sono cambiati, ma crediamo che sia importante ed utile alla memoria ritornare a esplorare la storia dell’ultimo secolo che, se da una parte ci ha tecnologicamente migliorati, dall’altra ci ha un po’ fatto perdere il gusto delle piccole e belle cose.

 

CORRADO BOZZANO è nato nel 1945 a Genova ove risiede. Fra i suoi interessi il settore dei trasporti ed in particolare quello automobilistico, nel cui ambito conduce da molti anni una ricerca tesa a ricostruire l’origine e l’evoluzione dei servizi nel comprensorio ligure.

CLAUDIO SERRA è nato a Genova nel 1966 dove abita e lavora. Da parecchio tempo si occupa di storia e ricerche sul trasporto pubblico e le vie di comunicazione con particolare riferimento a quelli della sua regione. Si dedica inoltre alla storia del costume italiano in ambito teatrale e cinematografico.




Quello che mi resta

Queste parole si sono prese cura di me, nel tempo. Testimoniano trasformazioni e cambiamenti. Ho a lungo esitato, non solo a scriverle in questa forma, ma anche a condividerle, a raccontarle. Quando l’ho fatto, prima con l’amico che mi conosce bene e poi, piano, con chi ho appena incontrato, ho scoperto che può esserci profonda fratellanza di emozioni. Allora chissà che queste parole non possano prendersi cura anche di altri, oltre che di me. Rileggendole, timoroso dell’effetto che potranno fare, ho ritrovato spesso il dolore. Se mi lascio toccare, scopro però la gratitudine, anche per quel dolore, quell’inquietudine, senza la quale non avrei trovato quello che conta per me oggi, quello che mi resta.

 

FRANCESCO CRENNA ,da sempre alla ricerca, lungo gli strani percorsi che la Vita ha proposto, ormai ha perso di vista la meta e si gode il sentiero del momento, spesso in salita, impervio, sempre nuovo e sorprendente. Nel 2015 ha incontrato il volontariato in Hospice grazie all’Associazione Braccialetti Bianchi di Genova. Si occupa di accompagnamento empatico nella sofferenza, nella mattia e nel lutto. Ogni volta scopre la meraviglia delle trasformazioni che avvengono nelle persone ed in lui quando è possibile accogliere e non rifiutare, comprendere e non separare.




Un secolo in Corriera lungo la statale 45
Storia illustrata del trasporto pubblico extraurbano da Genova alle valli del Bisagno e del Trebbia

Un ritorno in Val Bisagno e Val Trebbia… A distanza di parecchi anni dalla pubblicazione del volume “Prendiamo il Laviosa”, scritto insieme all’amico Roberto Pastore, uscito nel 2004 e da tempo esaurito, abbiamo intrapreso tre lavori, diversi, ma su un tema di fondo comune, la Statale 45 e le sue tante diramazioni lungo le valli del Bisagno e del Trebbia:

– in questo primo volume, una approfondita ricostruzione del relativo trasporto pubblico extraurbano, dall’epoca delle diligenze ai giorni nostri

– con il secondo, di prossima uscita, analoga ricostruzione del trasporto urbano in Val Bisagno, dagli omnibus a trazione animale di fine ‘800 all’anno in corso

– con il terzo, la storia della strada carrozzabile Nazionale, poi divenuta Statale, fra Genova e Piacenza (e delle vie di comunicazione che da essa conducono ad altre vallate), dai primi tracciati percorribili solo da quadrupedi alle più recenti opere stradali che hanno facilitato le relazioni in quella lunga tratta priva di ferrovia.

In questa pubblicazione, anche se sono trattati i collegamenti fra Genova e Piacenza, ci siamo soffermati in particolare sui servizi nel territorio fra il capoluogo ligure e Bobbio, città che, con la sua Provincia, fino alla metà dell’Ottocento apparteneva alla Divisione di Genova, e che fin dal 1913 fu collegata al mare, finalmente con un servizio automobilistico stabile, grazie all’iniziativa di Alberto Laviosa. Nel testo, oltre a numerose immagini e “box” di approfondimento, sono sovente riportati gli orari dei collegamenti via via citati: sono i soli, infatti, a fornirci un’idea concreta dell’effettivo servizio svolto, nel corso degli anni, per cui – come vedremo – per molte linee di entroterra, potremo “quasi riconoscere” gli utenti in viaggio sugli automezzi e, in definitiva, comprendere meglio la realtà sociale delle tante località servite, nei diversi periodi storici. Una “Appendice”, infine, è dedicata ad Alberto Laviosa, uno dei primi pionieri del trasporto a motore su strada, che costituì e fu l’animatore della Auto Guidovie Italiane, la società che gestì per buona parte del Novecento, oltre a numerose altre autolinee, anche il trasporto pubblico fra Genova e Piacenza, lungo la Statale 45 e le sue tante diramazioni, ed attualmente, come Autoguidovie, serve con i suoi moderni automezzi un’ampia rete di collegamenti in Lombardia ed Emilia-Romagna.

 

CORRADO BOZZANO è nato nel 1945 a Genova ove risiede. Fra i suoi interessi il settore dei trasporti ed in particolare quello automobilistico, nel cui ambito conduce da molti anni una ricerca tesa a ricostruire l’origine e l’evoluzione dei servizi nel comprensorio ligure.

CLAUDIO SERRA è nato a Genova nel 1966 dove abita e lavora. Da parecchio tempo si occupa di storia e ricerche sul trasporto pubblico e le vie di comunicazione con particolare riferimento a quelli della sua regione. Si dedica inoltre alla storia del costume italiano in ambito teatrale e cinematografico.